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"Avanti!": il testo del discorso e il video di VicenzaPiu.tv dell'evento di presentazione della candidatura alle primarie di Jacopo Bulgarini d'Elci

Di Redazione VicenzaPiù Sabato 28 Ottobre 2017 alle 21:12 | 2 commenti

Pubblichiamo a corredo del nostro video completo della presentazione della candidatura di Jacopo Bulgarini d'Elci alle primarie di centrosinistra di Vicenza, di cui abbiamo riferito in diretta, il testo del discorso del candidato.

Grazie a chi è stato su questo palco prima di me, Franca, Umberto, Annamaria, Claudio, Carlo, Ilaria, Massimiliano, Marco. Grazie a tutti voi, che siete così tanti in un sabato mattina nella nostra operosa città. Non era scontato! Grazie ai volontari, splendido gruppo che sta rendendo possibile lanciare una sfida che per me - indipendente, senza tessere di partito - altrimenti sarebbe stata impossibile.

Fate loro un bell'applauso! Grazie a quanti hanno firmato per la mia candidatura. Più d'uno pensava che, senza un partito alle spalle, non ce la potessi fare a raggiungere quella soglia così alta, 700 firme. Qualcuno forse ci sperava. Ebbene, sono ormai oltre 1000 le firme che abbiamo raccolto - Umberto Nicolai, puoi sorridere finalmente.

Grazie a chi, fra voi, magari non mi sostiene e non mi sosterrà ma comunque ha dedicato del tempo a venire ad ascoltare un racconto di come possa essere il futuro per Vicenza. Uno per tutti, visto che è un mio avversario: Giacomo Possamai. Entrambi vogliamo vincere, ma più ancora vogliamo far vincere il progetto di una città aperta contro le forze che la riporterebbero indietro, a come era dieci anni fa. Noi ce la ricordiamo la città com'era. E non vogliamo tornare indietro. E questo, lo voglio dire una volta di più davanti a tutti voi, è più importante delle nostre pur legittime ambizioni individuali.

E grazie, un grazie speciale, alla persona che ha iniziato tutto questo. 10 anni fa ero accanto a lui quando decise di candidarsi, per amore della città e contro ogni pronostico, a sindaco di Vicenza. Sono stato al suo fianco dirigendo la campagna elettorale di dieci anni fa, che molti di noi ricordano ancora con emozione. Sono stato al suo fianco nella vittoria, in cui credevamo in così pochi. E poi nel governo della città, nelle pagine dolorose e in quelle belle, prima da capo dello staff e poi da vicesindaco. Oggi lui è qui, e oggi è lui ad essere al mio fianco. E io voglio dirgli semplicemente: grazie, grazie per quello che hai fatto per questa città, per la tua dedizione totale. Achille Variati!!

E adesso, avanti!
Abbiamo parlato di Bellezza, in diverse sue declinazioni.
Ma la bellezza, che cosa è? La bellezza non è solo quella dell'opera d'arte. La bellezza - ha detto uno scrittore - è una forza politica, cioè una forza che trasforma la realtà. Pensate, per meglio visualizzare il concetto, al suo opposto, la bruttezza: la bruttezza di certi posti produce risultati politici, sociali, psicologici. La bruttezza umilia, abbassa, degrada, criminalizza le persone che vivono in quelle condizioni.

Ma in molti mi hanno detto: è pericoloso costruire una campagna attorno a questo. È troppo difficile. È troppo alto.
No. Non è troppo alto. È all'altezza giusta. Non è troppo difficile: è difficile come deve essere per affrontare davvero le sfide che abbiamo davanti. E quelle sfide sono complesse, non semplici. E poi, sono anche stanco di coloro che pensano che le persone, i cittadini, siano incapaci di affrontare un discorso complesso. Qualcuno - lo so bene - pensa che io sia snob. Ma il vero snobismo non è provare a costruire un discorso articolato e complesso, da pari a pari, con i cittadini: il vero snobismo è trattare i cittadini come sempliciotti.

La mia scommessa è che la nostra città meriti e desideri il dibattito pubblico alto che la difficoltà del nostro tempo richiede, non le pseudo soluzioni semplicistiche che qualcuno usa per costruire consenso di bassa lega, e che non portano a niente se non a miseria, dolore, guerra, e infelicità.

E allora, la bellezza. Vedete, Bellezza fa rima con concretezza.
È una forza positiva e che risana. Non è una astrazione. È una forza reale e potente, e concreta.
La cura della bellezza di cui parlo non parte dal centro storico e dai monumenti, parte dalle scuole. Una scuola che sia bella per insegnanti e bambini. Che faccia percepire a entrambi, insegnanti e bambini, l'investimento politico della comunità nella più importante funzione che dovremmo promuovere: la formazione, l'educazione, l'apprendimento. Le nostre scuole devono essere cattedrali, non luoghi in cui ci accontentiamo che il soffitto non crolli.
Questa cura delle bellezza passa per le strade. Che non vanno solo asfaltate ma illuminate, curate, ornate, rese belle. E verrà da tenerle più pulite, sarà più difficile sporcarle.
E arriva ai quartieri. La piazza o il luogo centrale, i centri di aggregazione: non possono essere tristi. Devono essere belli. Perché se saranno belli verrà da frequentarli, da viverli, da prendersene cura, da riconoscerli come simboli amati di comunità. Bellezza nei quartieri significa cura, pulizia, ordine, responsabilità, eliminazione del brutto. Significa qualità della vita.

Presotto diceva prima: il sindaco non è Babbo Natale. Vero. E allora, siamo chiari: meglio meno, ma meglio. Anziché 10 faremo 9 interventi, ma li faremo meglio. Ecco come faremo. Quando progettiamo un intervento, lo scarto materiale ed economico tra fare bene una cosa e farla bella è modesta: ma lo scarto politico e sociale è enorme.

Ma uno dice: eh ma non è una priorità, non ce lo possiamo permettere. Sono stanco di questa logica. È la logica perdente che ci costringe ad accettare sempre meno, un mondo sempre più brutto, uno standard sempre più basso.

È ora di rivendicare la bellezza e la qualità della vita come un diritto, come un diritto e come un dovere.
Perché se il nostro Paese è fondato su una cosa, è fondato sulla bellezza, sulla capacità di costruire cose non solo fatte bene ma fatte belle, uniche, preziose, nell'artigianato che si fa arte come nell'industria e nella creatività.

E perché quando non ci prendiamo cura del mondo, della terra, dell'aria, del paesaggio, di ciò che di bello i nostri padri hanno costruito, di tutto quello che produce ammirazione e meraviglia e stupore, noi non stiamo degradando la bellezza - stiamo degradando noi stessi.

Dunque, bellezza fa rima con concretezza. Ma anche: Bellezza fa rima con sicurezza.
E però qua voglio fare un discorso chiarissimo, che magari non sarà il più popolare ma che credo che sia il discorso che dobbiamo fare, ed è un messaggio che lancio anche agli due candidati alle primarie. Quando parliamo di sicurezza, è facile cadere in una retorica sbagliata. Dobbiamo tornare a dare alle cose il giusto peso e la giusta importanza.
Non c'è solo una sicurezza di cui dobbiamo parlare. Ce ne sono almeno tre: urbana, ambientale, sociale ed economica.

Sicurezza urbana, ok. La sinistra ha spesso fallito nell'affrontare questo tema, lo dobbiamo riconoscere. E ha sbagliato, perché è un tema importante. Perché il compito primo dello Stato è garantire la sicurezza dei cittadini. Perché è un tema di uguaglianza dei diritti, di difesa del debole dal sopruso del forte o del prepotente. Ma affrontiamo questo tema con intelligenza, umanità, lungimiranza. Non basta invocare una sicurezza che voglia dire solo repressione, non si può appiattirsi sulla logica che strumentalizza le paure (la cosa più facile del mondo) e arma i poveri contro i poveri, e non basta neppure dire: chiederemo più rinforzi dallo Stato alla questura. Lo stiamo facendo da anni, e qualunque sindaco di qualunque colore politico lo potrebbe fare.

Allora, io propongo una ricetta attorno a tre concetti: un cambio di atteggiamento che dica basta allo spirito rinunciatario di chi si arrende all'idea che il degrado e il declino siano inevitabili: ci vuole - questa è la parola - intransigenza, una santa e sana intransigenza, nell'applicazione e nel rispetto delle regole, per tutti, a partire da noi e ovviamente per coloro che arrivano qui come ospiti, perché le regole devono valere e devono valere per tutti, dalla piccola alla grande violazione; e intransigenza anche nel cercare e ottenere risultati: da sindaco, non accetterei uno spirito rinunciatario nei miei assessori. Vi faccio un'esempio: tre anni fa, provai ad affrontare, da vicesindaco, il tema del campo nomadi: infuriava la polemica perché a quelle famiglie le bollette le pagava il comune, e quindi c'era anarchia e totale mancanza di responsabilità nella gestione dei consumi. Affrontando con decisione la cosa, imponemmo la stipula di contratti individuali per ogni famiglia. A distanza di tre anni, quella azione - più unica che rara in Italia - resiste e porta frutto, con consumi sotto controllo e maggiore responsabilità.
Qualcuno mi accusò di razzismo, ma i problemi non si risolvono nascondendoli sotto il tappeto: quell'azione decisa contribuì a svelenire il clima sociale e a togliere argomenti ai razzisti veri. E fu un'azione giusta e di equità, perché da sinistra non dovremmo vergognarci di pensare che se uguali devono essere le opportunità, uguali devono anche essere i doveri. Ed è ora che torniamo a parlare di concetti come questo: dovere, dovere verso la collettività. È un bel concetto!

Un secondo filone è quello della tecnologia e di protocolli innovativi per aumentare il controllo del territorio e produrre deterrenza - l'esempio è quello delle telecamere intelligenti che ho recentemente proposto, e che a differenza di quelle attuali non si limitano a registrare ciò che accade ma riescono a interpretare ciò che vedono, mandando un'allerta quando individuano comportamenti anomali - e non costa molto trasformare, senza buttale via, le attuali telecamere stupide in telecamere intelligenti.

Il terzo prevede l'uso di mediatori culturali stranieri per aiutare a ridurre i conflitti e mostrare come ciò che spesso, e superficialmente, riteniamo essere parte del problema possa essere parte della soluzione. E aiutare a produrre una migliore comprensione e una migliore integrazione, che è il vero antidoto a tanti dei problemi che viviamo.


Ma anche e ancora di più, e qua perdonatemi ma da sinistra lo dobbiamo dire e rivendicare con forza, senza vergognarcene, senza subalternità: la sicurezza ambientale è oggi la vera emergenza. Smettiamola di farci distrarre, smettiamola di fare il gioco di chi strumentalizza la paura. Se oggi c'è una emergenza vera questa è quella ambientale. È quella di una terra, di un'aria, di un'acqua avvelenate, stuprate, martoriate. Non c'è giorno che passi senza che leggiamo dei limiti superati. Di nuovi scandali legati al rinvenimento di questa o quella sostanza. Di un allarme per la nostra salute. La Pianura padana è un'isola di smog. Vicenza tra le città più inquinate d'Europa.

Sono frivolezze, robe di secondaria importanza? Al contrario: è ciò che mette a repentaglio la nostra vita a dover rappresentare la priorità. L'emergenza è quella che ci minaccia. E qua voglio dire alle forze che si definiscono di sinistra: sveglia, ragazzi, smettiamola di farci dettare l'agenda dagli altri. I malati e i morti per cause ambientali si moltiplicano, e sono infinitamente di più di quelli causati dalla criminalità: 60 mila morti l'anno, molti dei quali nell'area della pianura padana. L'ULSS che invita i cittadini a stare a casa e non fare sport all'aperto. Siamo costretti a fare la danza della pioggia per abbattere le polveri sottili e tornare a respirare. Cosa altro serve per dichiarare quella ambientale la priorità, la priorità numero uno?

E ai venetisti e agli indipendentisti e a chi sogna di staccarsi dal'Italia in nome dell'amore per la propria terra, io chiedo - come potete dire di amare la nostra terra e accettare al contempo che venga violentata, avvelenata, offesa? I nostri rifiuti tossici, le nostre scorie, le schifezze che produciamo e abbiamo nascosto e nascondiamo - puzzano meno e sono meno criminali solo perché li abbiamo prodotti noi, qui in casa nostra, nella casa nostra di cui ci diciamo orgogliosamente padroni?


E poi, terza declinazione, la sicurezza sociale ed economica. Oggi l'insicurezza sociale dipende in parte importante dalla insicurezza economia. Ma allora, ecco un altro esempio della capacità concreta della bellezza di essere una forza che risana. Negli anni della crisi, abbiamo creato una cosa che a Vicenza non c'era: un'economia della cultura e del bello. Ne hanno beneficiato il turismo, l'alberghiero, il commercio, l'artigianato, i servizi, le industrie culturali e creative. Ma anche i molti imprenditori che usano il patrimonio come biglietto da visita. La promozione è cresciuta, oggi c'è una città più viva, più aperta al mondo, con un aumento enorme dei visitatori. Centinaia e centinaia di posti di lavoro sono stati creati solo in questo settore. L'indotto è stato di decine e decine di milioni di euro in pochi anni.

Volete un esempio ancora più concreto? L'ex hotel Europa, oggi luogo di degrado e riparo per sbandati, risorgerà come albergo di qualità: e questo è possibile non per magia ma perché si è creata una domanda crescente di accoglienza alberghiera.

Ma è solo un esempio di innovazione che paga, del fatto che bellezza e cultura possono generare economia e sviluppo, checché ne dicesse un ministro berlusconiano particolarmente miope e cretino, quello che non riusciva neppure a pronunciare bene la parola "euro" e diceva che con la cultura non si mangia.

È l'esempio di una alleanza tra pubblico e privato che è anche a servizio del cuore manifatturiero della nostra provincia, perché i valori del bello e della creatività significano oggi per le nostre imprese la capacità di competere globalmente. E vi voglio offrire un'altra proposta concreta: la promozione dell'insediamento di professioni e imprese creative e culturali nel cuore dei quartieri degradati o invecchiati, creando sgravi e condizioni agevolate - perché quelle professioni e quelle imprese arricchiranno e risaneranno quei quartieri. E ovviamente, puntare su università e formazione.

Puntare sulla formazione anche per un'altra ragione:
Bellezza fa rima con consapevolezza.
Volete un esempio di quanto sia problematica una inconsapevolezza diffusa? Lo so che è doloroso, ma pensiamo al collasso delle banche. Zonin non è un mostro venuto dallo spazio, o da Roma ladrona. È un veneto che ha rovinato decine di migliaia di altri veneti, nell'indifferenza o nella incapacità di capire cosa stesse accadendo o nella complicità del Veneto. Dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che il fallimento è stato un fallimento del nostro sistema territoriale, tutto, tutto intero. Che se vogliamo evitare di finire un'altra volta imbrogliati dobbiamo far crescere la nostra conoscenza, educazione, capacità critica. Che le concentrazioni di potere non sono mai buone, non sono mai buone, perché sempre portano degenerazione, perché sempre portano all'abuso di potere.

Ci fosse stata consapevolezza e sensibilità maggiore, amore per il paesaggio e l'eredità della nostra civiltà, l'amministrazione Hullweck avrebbe potuto impunemente progettare e approvare il nuovo tribunale e il suo complesso edilizio? In quel luogo, con quei volumi? E il Dal Molin?

Ci fosse stato più controllo e più intransigenza, avremmo avuto lo scandalo del Mose?

Ci fosse stato più amore per la terra, per quella terra che diciamo nostra ma poi trattiamo peggio di una pattumiera, ci fosse stata più consapevolezza dei doveri che abbiamo verso il paesaggio e verso il nostro ambiente, avremmo seppellito veleni nel suolo, disciolto sostanze tossiche nell'acqua, immesso nell'aria infinite polveri sottili?

Educare a una cultura della bellezza significa allora educare al rispetto, all'amore, al prendersi cura. Significa crescere cittadini migliori.

È un programma troppo ambizioso? Troppo difficile? Troppo costoso? Io dico che ancora più costoso è rinunciare a ragionare così, è lasciar sprofondare il nostro mondo, di disastro in disastro, di sconfitta in sconfitta.
Perché lo abbiamo visto innumerevoli volte, anche nella nostra terra: dall'indifferenza estetica deriva - sempre, inevitabilmente - una indifferenza morale. E so che può sembrare una frase difficile, ma se ci pensate non lo è, non è difficile per niente. Il bello genera il buono.

Bellezza fa rima con fermezza, lo abbiamo detto quando abbiamo messo in luce quella parola limpida e severa: intransigenza. Fa rima con fermezza ma non fa rima con asprezza. Perché possiamo essere fermi e severi ma rimanere giusti, rimanere umani, rimanere buoni - rifiutare, perdonatemi, di diventare stronzi, di diventare brutte persone.
E allora, lo voglio dire: bellezza fa rima con tenerezza.
E tenerezza vuol dire solidarietà. Dialogo. Riconoscere l'altro. Amare la differenza.

Vuol dire pensare che il sociale non sia solo un dovere ma un'opportunità. Che anziani e bambini non siano fardelli o vulnerabilità ma patrimonio collettivo. E - ecco un'altra proposta che meglio presenteremo nelle prossime settimane - possiamo pensare a una rinnovata alleanza anche generazionale che trasformi i quartieri in fucine di comunità e che metta in circolo le competenze, valorizzi gli anziani - che oggi hanno davanti una lunga vita dopo l'uscita dal mercato del lavoro - come portatori di esperienza ma ancora di più di sapienza, di dignità, di storia. E tratti i bambini per quello che sono: non i cittadini di domani, come spesso erroneamente e stucchevolmente si dice, ma come coloro che già oggi sono cittadini a tutti gli effetti e lo saranno per il tempo più lungo. I cittadini più importanti, quelli che dovrebbero avere il massimo dei diritti e della garanzie.

E poi, guardare con tenerezza deboli, disabili, malati ci ricorda che sono le imperfezioni e le fragilità a definirci, a renderci unici e speciali. Che sono le imperfezioni a definire la nostra bellezza.

Significa cercare comunità e costruire comunità. E riconoscere nella comunità il nostro orizzonte e destino. L'antidoto all'egoismo, alla prepotenza, al modello dei bulli che sta tornando imperante - a partire dal cosiddetto uomo più potente del mondo, che oggi è semplicemente il più potente bullo del mondo.

E se ancora uno mi dicesse: ma la bellezza, sì, sono belle storie, ma troppo lontane, astratte. Ebbene, ditelo alle coraggiose donne degli Amici del quinto piano, pazienti oncologiche che il sabato da qualche mese danzano a Palazzo Chiericati, donne che cercano il confronto con l'opera d'arte per tornare a sentirsi integre, più forti, più armoniose, più vive: dite a loro che la bellezza non serve a niente.

La bellezza serve, la bellezza aiuta.
La bellezza guarisce le ferite individuali e collettive, mostra che se l'uomo è capace di fare il male, ancora di più è capace di fare il bene; che se pure è capace di distruggere, ancora di più è capace di creare.

E infine.
Bellezza fa rima con grandezza.
Non abbiamo bisogno di guardare lontano, di cercare esempi nei libri. Basta uscire di qua e guardarsi attorno. Vicenza è stata plasmata, 5 secoli fa, dall'alleanza tra economia e cultura di cui stiamo parlando oggi. La nostra città era florida e ricca, le merci vicentine inondavano i mercati europei e mediterranei, e una classe imprenditoriale colta, cosmopolita, sensibile scelse di dar vita a una straordinaria rivoluzione urbana, che sarebbe diventata un modello per tutto l'occidente: gli studiosi la chiamiamo rivoluzione palladiana, ma per noi è semplicemente casa. Fu il modo di tradurre la ricchezza in bellezza, l'impresa in armonia, il lavoro e l'ingegnosità in forme belle, che sfidassero l'usura del tempo.

Oggi, cinque secoli dopo, proponiamo quella stessa visione, aggiornata al nostro tempo.

Rivendicare la bellezza come un diritto e un dovere non vuol dire parlare di cose che non ci possiamo permettere, ma di cose che non ci possiamo più permettere di trascurare.

Nella storia che ha aperto questo nostro incontro, il presidente vuole costruire - erigendolo con un misto di mattoni e superbia - un muro alto abbastanza da tenere fuori tutte le minacce del mondo. Ma basta un palloncino a dimostrarne l'inutilità, nel ridicolo.

Noi non ci vogliamo accontentare di sopravvivere alla notte, tremanti dentro i nostri rifugi. Vogliamo rischiarare la notte, fino a mutarla in giorno. Vogliamo rifondare una comunità, e riedificare una città, che non accetti niente meno della civiltà, della bellezza, della grandezza che respiriamo ancora ogni volta che ci guardiamo attorno.

Il potere della bellezza è questo. Ma dobbiamo avere il coraggio di accettare, tutti noi, assieme, collettivamente questa sfida. E di abbracciare una promessa che è anche un impegno: che i nostri giorni migliori non siano alle nostre spalle, ma davanti a noi, ancora da vivere.

Questo merita la città di Palladio. Questo merita ciascuno di noi. Questo meritano i figli a cui lasceremo un giorno questa terra.

Grazie di essere stati con me, grazie del vostro supporto - e adesso, avanti!

Jacopo Bulgarini d'Elci, candidato alle primarie di centro sinistra di Vicenza


Commenti

Inviato Domenica 29 Ottobre 2017 alle 01:13

Un altro giovane candidato, è proprio il momento delle nuove generazioni.
Inviato Giovedi 2 Novembre 2017 alle 09:46

RETORICA!
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