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Categorie: Interviste, Fatti

Padre Sala, da Vicenza a Scampia: "non chiudiamoci in casa, riappropriamoci delle nostre città"

Mercoledi 18 Gennaio 2017 alle 17:57

Padre Sergio Sala, gesuita, è tornato in questi giorni nella sua città, Vicenza, per raccontare la sua esperienza a Scampia, quartiere periferico di Napoli, nel quale svolge la sua missione da nove anni, prima da studente e ora responsabile di un centro socio culturale, in una realtà ogni giorno a rischio criminalità e droga. Dopo un incontro all'Associazione Vinova in viale Verdi, durante il quale abbiamo avuto modo di chiacchierare con lui, don Sala, fratello dell'assessore al sociale del Comune di Vicenza Isabella Sala, sarà impegnato in questi giorni in altre attività di solidarietà e spettacoli con alcune associazioni vicentine. “La città di Napoli è sicura - racconta a VicenzaPiùTv - veniteci a trovare. Il problema è che è diminuita molto l'età media della criminalità, ma non chiudiamoci in casa, riappropriamoci delle nostre città”.

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In Il Clan dei Tamimi: un "racconto diverso" sulla vicenda di Ahed Tamini, l'attivista palestinese diciassettenne appena liberata
Rispondo a Germano Raniero dal mio articolo che, come dice Raniero è monco. Me lo hanno fatto notare in tanti, ma scrivere la storia dei Tamimi bisognerebbe farlo a puntate. Chi come Raniero, cerca giustificazioni nell'asset familiare e nell'ambiente di questa attricetta (già protagonista di un documentario), chi si aggrappa "all'occupazione" (occupazione?) ai lager della Cisgiordania, spesso contrapposti ad alberghi a cinque stelle dove dormono i paraculati delle ONG, chi tollera il terrorismo da ritorsione, sappia che spontaneo o da ritorsione, sempre terrorismo è fa sminuire la figura da pacifista a pacifinto, perché non ci può essere pace costruita su fondamenta di terrorismo. Io sto cercando di evidenziare che la promozione di questa stronzetta viene abilmente sovrapposta all’attività terroristica dei compenti della sua famiglia. Detto questo l'attricette eretta a paladina è contestata anche dai palestinesi, perché non rappresenta un'icona di salvatrice della patria, Ahed è un nuovo simbolo difforme della resistenza palestinese,anche per il suo look occidentale, quasi americanizzato, per la sua fisicità e il suo stile di vita (non porta il velo, tocca i maschi…una vera combattente per la causa palestinese non lo farebbe mai, se io, alla mia età toccassi le palle ai militari israeliani finirei in galera e butterebbero via le chiavi...per via dell’età)… Questi atteggiamenti non rappresentano lo stereotipo della bambina palestinese, quanto una figura mediatica di successo (trovo strano che la maggioranza dei giornalisti non si sia posto questo problema), creata ad arte, per arricchire la famiglia che è stata anche foraggiata da Erdogan con regalie varie….e adesso ditelo a Erdogan...tanto non mi mette in prigione, perché le sue galere sono piene di dissidenti, tra il silenzio di questi pacifisti di basso livello.
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